sabato 28 gennaio 2017

La difesa come diritto fondamentale alla stregua del diritto alla salute e all'istruzione. La necessità di un equo compenso per l'avvocato.


Non è accettabile che l'antica e nobile professione dell'avvocato sia avvilita dalla concorrenza al ribasso nell'offerta dei servizi professionali per la mancanza dei minimi tariffari, mentre i grandi soggetti economici e finanziari dominano il mercato.

Ho accennato al dogma neoliberistico del mercato autoregolatore di tutto a proposito del convegno organizzato presso l'aula magna del Palazzo di Giustizia torinese in data 23 gennaio 2017 (http://alchimista1.blogspot.it/2017/01/lavvocato-una-professione-da-reinventare.html[1], ma pochi giorni prima, in data 17 gennaio, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del presidente Giovanni Pitruzzella, si era espresso sul punto: il riconoscimento della natura economica della professione va coniugato con la tutela dei diritti fondamentali e degli interessi pubblici di rango costituzionale [2].

Il titolo già significativo del convegno romano "L'ordinamento delle professioni intellettuali tra spinte liberalizzatrici ed esigenze di interesse generale: risultati raggiunti e obiettivi mancati", organizzato dall'Autorità antitrust presso la propria sede insieme al Consiglio Nazionale Forense, esprime già quella sfida, richiamata nel titolo del convegno torinese, che viene posta dal cambiamento culturale delle libere professioni, le quali sono viste, secondo la giurisprudenza europea, come attività economiche assimilabili all'impresa.

Ma questa assimilazione all'impresa non deve contrastare, come ha osservato Andrea Mascherin, presidente del C.N.F., con le caratteristiche di servizio di interesse pubblico per la  tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale svolto dall'avvocatura. Una precisazione pressoché ovvia se non fosse per l'avvilimento della professione negli ultimi tempi, con la corsa al ribasso dei compensi nelle attività professionali a causa dell'abrogazione dei minimi tariffari.

Si è infatti precisato, anche dopo nel congegno torinese, che un'attività professionale come quella dell'avvocato garantisce un diritto fondamentale, quello alla difesa, al pari dell'istruzione e della sanità, nell'ambito di ogni Stato di diritto e di ogni democrazia solidale. E questo lo si deve dire e ripetere non tanto nell'interesse di una categoria professionale quanto a tutela di servizi fondamentali.

Per questo il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, intervenuto al convegno romano, ha voluto assicurare circa il proprio impegno nel promuovere al più presto il disegno di legge sul tema dell'equo compenso, essendo ormai inaccettabile la  sperequazione che si è creata nel rapporto tra libere professioni e grandi imprese in posizione dominante sul mercato.

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domenica 22 gennaio 2017

L'avvocato: una professione da reinventare?


Si parla di come vincere la crisi, tema ormai ricorrente per ogni libera professione, ma quella dell'avvocato è emblematica del nuovo cambiamento epocale che stiamo iniziando, tra rischi di estinzione e strategie di promozione. 

Le storie di quotidiana difficoltà che mi raccontano i giovani colleghi sono la conseguenza di situazioni diverse ma accomunate da una causa che riguarda tutte le libere professioni: la crisi economica e la disoccupazione.

Se poi consideriamo i numeri di una categoria professionale inflazionata in Italia, con quasi 250mila iscritti all'albo, rispetto alle altre realtà europee (come la Francia, con  non più di 60mila avvocati) - sto citando il rapporto Censis 2016 - viene da chiedersi: è colpa solo della crisi economica che ha colpito il nostro Paese più di altri? Direi di no, anzitutto per la semplice ragione che, se l'offerta di assistenza legale dell'avvocato supera la domanda, è chiaro che non si guadagna e viene meno anche una normale e sana concorrenza tra professionisti.

Ma qual è la causa di tale sovrannumero di avvocati e della sovraofferta di servizi dell'avvocatura? Anzitutto la mancanza di numero chiuso e seri criteri selettivi alle Università. Se pensiamo che molti studenti che non sono riusciti a entrare in altre facoltà per le quali è previsto invece il numero chiuso, si sono poi rivolti alla facoltà - tra cui giurisprudenza appunto, prive di un analogo sbarramento - , comprendiamo l'origine del problema.

Senza contare che gravano sull'avvocatura una serie di leggi che penalizzano il decoro di una professione nobile e antica, rendendola tra le prime libere professioni ora a rischio di povertà: basti pensare all'assurda abolizione dei minimi tariffari - frutto del neoliberismo e di una visione iperconcorrenziale della società che considera gli studi legali come "imprese".  

La conseguenza è stata che oggi non si rispetta più nemmeno il principio civilistico secondo il quale "la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione" (art. 2233 cod. civ.).

Non serve nemmeno riferirsi ai "parametri forensi", chi i giudici utilizzano per liquidare le spese di giudizio, per dare all'assistito almeno un'idea del valore delle prestazioni professionali, dal momento che portano cifre pressoché dimezzate rispetto a quelle delle tariffe minime prima vigenti. Per di più vi è stato recentemente l'aumento del contributo unificato e degli oneri da sostenere per le materie in cui si deve procedere ora con la previa mediazione obbligatoria.

Sono tutti problemi che anche il sottoscritto, il quale non è l'ultimo arrivato, risente, perché aggravati dalla crisi generalizzata e da assistiti che non pagano. Ma è chiaro che la crisi economica non è il problema principale. Non vogliamo qui dilungarci su alcuni difetti strutturali, poi, del processo e della procedura civile - e come avvocato prevalentemente civilista mi limito a questa - che contribuiscono ai ritardi della giustizia che il cittadino non informato addebita all'avvocato.

A fronte di tali deficienze strutturali, sia di strumenti che di previsioni normative coerenti con l'innovazione digitale, non può sopperire il processo telematico, una grande conquista ma che equivale a mettere un bel vestito nuovo su un corpo deforme. Bisogna senz'altro riformare la procedura ma intanto anche noi avvocati dobbiamo pensare a come rinnovarci in un contesto digitale e multimediale che sembra aver seppellito ogni residuo di professionalità ed eccellenza in favore solo di chi ha più potere economico.

Questa purtroppo è la situazione attuale, che sembra dare ragione a quanto diceva il presidente del già Organismo Unitario dell'Avvocatura (oggi sostituito dall'Organismo Congressuale Forense) Maurizio De Tilla sull'ipotesi di ammortizzatori sociali anche per gli avvocati. Ormai l'avvocato, più che promuoversi deve reinventarsi, intercettando nella Rete i propri clienti, studiando gli applicativi per l'Internet Marketing e posizionandosi nei motori di ricerca sulla base di un'attenta analisi del mercato e della concorrenza. Sopravvive chi risponde meglio al cambiamento, insomma, come ha detto l'avv. Cristiano Cominotto di ALP (AssistenzaLegalePremium.it) al convegno del 23 gennaio 2017 organizzato  dall'Ordine degli Avvocati di Torino in collaborazione con CamMino (Camera Nazionale Avvocati per la famiglia e minorenni) e AGAT (Associazione Giovani Avvocati Torino) su "strategie dello studio legale tra innovazione tecnologica e sfida alla concorrenza"

Del resto lo scrivente ha sempre sostenuto, nel proprio blog e nelle proprie videonote su mode e modi della comunicazione del terzo millennio, che l'innovazione digitale e la telematica sono appena agli inizi ma già comportano un cambiamento epocale per tutte le libere professioni.

 Milano, 25 gennaio 2017                           avv. Giovanni Bonomo