martedì 29 ottobre 2013
martedì 1 ottobre 2013
Domanda agli intellettuali "impegnati"
Vorrei anch'io allora richiamare l’attenzione, prendendo spunto dal limpido articolo di Angelo Gaccione, DEI E IMMORTALITA', sull'impegno civile dei non pochi intellettuali che scrivono sulla rivista ODISSEA, e porre a loro una domanda.
Tale impegno in che cosa si concreta? A me capita di
leggere, spesso, articoli lunghi e autocelebrativi, quando invece il nocciolo
del problema, da prendere di petto, è il degrado cultuale di questo Paese,
ricco di storia e di arte, ma ormai asservito agli interessi di potere e delle
gerarchie che ci governano. Basterebbero poche ma giuste, corrette e responsabili
parole.
Lo scopo della rivista, del resto, è scritto nella
didascalia che si pone come sottotitolo: "Nessuna grande cultura può
trovarsi in un rapporto obliquo con la verità", come ben disse Robert
Musil. E non è forse il credo religioso ad essere da sempre il terreno fertile
per il pensiero suddito e non critico? Perfino Corrado Augias, benchè anch'egli
non esemplare come intellettuale impegnato, lo ha capito, e ha scritto un
pregevole libro intitolato "Il disagio della libertà. Perché agli italiani
piace avere un padrone", Rizzoli ed. 2012.
Lorenza Franco ha spesso parafrasato, nelle sue poesie, e
pure in qualche suo raro scritto in prosa, la nota frase di Krishnamurti, “Dove
c’è fede c’è violenza”. E sappiamo dalla storia quanti genocidi fisici e
culturali in nome di “Dio” sono stati perpetrati e continuano ahimè ancora oggi
a perpetrarsi, come scrive Gaccione.
Non c’è dubbio che la fede sia un firewall all’intelligenza,
perché non dà risposte, ma ferma solamente dal porsi domande. E dove c’è
ignoranza - dove c’è fede - c’è violenza. Questa è l'ovvia conclusione a cui
dovrebbe addivenire un intellettuale serio, e che non mi stancherò mai di
sostenere, perché anche le cose ovvie diventano difficili in un Paese culturalmente
degradato.
So che tali intellettuali
"moderati" poi mi criticano, mai apertamente, ma in modo subdolo,
perché inducono la redazione a non pubblicare i miei scritti: bisogna cercare
il dialogo con i "credenti", dicono. E chi sono poi tali
"credenti"? Si tratta, in verità, di cittadini che non sanno nemmeno
i fondamentali del credo cattolico, per non aver mail letto veramente la
Bibbia, né tanto meno la storia del cristianesimo. Non li definirei nemmeno con
il termine, caro a Karl Deschner, di "laici devoti", perché
nemmeno di laicità delle istituzioni, presupposto di uno Stato democratico,
sanno un'emerita mazza: si tratta semplicemente di inconsapevoli cittadini
sudditi del pensiero dominante e del potere. Tanto avidi spettatori della TV
quanto scarsi, se non nulli, lettori.
Qual è allora il compito dell'intellettuale, che ha invece
un bagaglio concettuale e una cultura sufficienti per conoscere la storia, a
non essere "credente" ma "pensante"? Vorrei
rispondere con le parole di uno dei più grandi scrittori del secolo scorso, il
premio nobel per la letteratura Josè Saramago: “Mi sono sempre considerato
un ateo tranquillo, perché l’ateismo come militanza pubblica mi sembrava
qualcosa di inutile, ma ora sto cambiando idea. Alle insolenze reazionarie
della Chiesa cattolica bisogna rispondere con l’insolenza dell’intelligenza
viva, del buon senso, della parola responsabile. Non possiamo permettere che la
verità venga offesa ogni giorno dai presunti rappresentati di Dio in Terra; ai
quali, in realtà, interessa solo il potere".
Ora, premesso questo, e premesso che la Chiesa cattolica è responsabile
della depressione culturale dell’Italia e dell’intera Europa e che lo Stato del
Vaticano è l’istituzione che vive alle spalle delle nazioni, protegge i preti
pedofili, istiga all’intolleranza, al razzismo, alla violenza, al fascismo,
alla disuguaglianza, all’omofobia, e
influenza la politica, e premesso che in questo non c’è niente di spirituale ma
solo di palesemente criminale, vorrei ancora porre una domanda a tutti gli
scrittori e intellettuali cattolici che mostrano di condividere, o fingono di
condividere, le istanze culturali, morali e laiche di noi liberi pensatori, al
punto da scrivere su una rivista libertaria come ODISSEA: voi intellettuali che vi definite
"credenti", come vi sentite con la vostra coscienza?. Grazie per
la risposta.
Giovanni Bonomo
venerdì 20 settembre 2013
Se DIO esistesse... non ci sarebbe bisogno di pregarlo
Chi
prega mette in dubbio l’esistenza
di
Dio, ma deve esser perdonato:
colpa
non ha chi è disperato
e ha un concetto errato di coscienza.
Della
morte la perentorietà
panico
induce e disperazione
ed
è questa la giustificazione
per
inventarsi la divinità.
Non
si chiedevano grazie agli dei,
ma
solamente la loro presenza,
subito
avvertita in opulenza
di
frutta, latte, pane, buoi e agnei.
Ma
quanto più potente il nuovo dio!
Finite
le ingiustizie, guerre, mali,
non
si uccidon fra loro gli animali,
il
padre ti amerà e pur lo zio.
Ma
forse io m’illudo? Forse sbaglio…
Credo in un dio crudel che m’ha
creato[1].
Forse
che per vergogna si è occultato,
senza
lasciar nemmeno uno spiraglio?
Chi
muore ancor sul campo di battaglia?
Chi
soffre per orrende malattie
o
psicofisiche patologie,
chi
spara, e bombe e razzi ancora scaglia?
Non
fate il bene se siete credenti,
ai
non credenti lasciatelo fare.
D’opportunismo
non si può accusare
chi
premi non pretende inesistenti
in
luoghi strani, in mondi iperuranii,
in
paradisi soltanto mentali,
parto
insensato di esaltati cranii.
Piuttosto
prenotatevi l’inferno
prima
di far del bene, una bestemmia
l’accusa
di volere far vendemmia
a smentire basterà, e in eterno,
che
un’opera di bene sia pelosa,
che
sia gratificata in altra vita,
di
cui non c’è riscontro, ch’è smentita
da
una scienza seria e dignitosa.
Milano,
11 sett. 2013 Lorenza Franco
venerdì 26 aprile 2013
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