Ci sono tanti giornalisti liberi che non sono eroi ma cittadini normali che
fanno il loro dovere informando. Chi fa il politico, o chi è comunque un
personaggio pubblico, è ovvio che venga sottoposto a una verifica di
attendibilità e di correttezza dei comportamenti, proprio per valutarne
l'operato.
Non si può
chiedere a un giornalista che pubblica un articolo su una questione di
interesse generale, come la presunta corruzione di un politico, usando toni
normalmente provocatori, un grado di precisione analogo a quello richiesto
per stabilire la fondatezza di un’accusa in sede giudiziaria. Se le autorità
giurisdizionali nazionali condannano il cronista per diffamazione senza tener
conto di quest’aspetto e senza valutare il diritto della collettività a essere
informata su questioni di interesse generale, è certa la violazione della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il giornalismo usa spesso toni provocatori proprio per svegliare l’opinione
pubblica e informare, anche emotivamente, la cittadinanza. Va da sé che non è
possibile pretendere dal giornalismo un grado di precisione analogo a quello
richiesto per stabilire la fondatezza di un’accusa in sede giudiziaria. Pretendere
l’uso di un linguaggio tenero e preciso nei particolari significa non
comprendere la professione di giornalista. Il giornalista non è un P.M.
Lo ha chiarito più volte la CEDU
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella condanna di Stati membri per la violazione
dell’articolo 10 della Convenzione che assicura la libertà di espressione perché
i giudici nazionali non si sono attenuti ai princìpi, fondanti tale norma, in
materia di libertà di stampa, non tenendo nella dovuta considerazione il fatto
che la stampa ha l’obbligo di informare su questioni di interesse generale e
che la collettività ha diritto di riceverle.
Deve trattarsi, precisa la Corte
di Strasburgo, di notizie legate alla funzione pubblica del politico, senza
riferimento alla vita privata di questi e senza che traspaia, dal testo
dell’articolo, alcun intento diffamatorio, nel rispetto quindi delle regole
deontologiche. Quando si usano giudizi di valore questi devono avere una base
fattuale sufficiente a costituire un ragionevole fondamento per le critiche.
Certo non si può chiedere a
un giornalista, chiarisce la CEDU, la stessa precisione e accuratezza che
compete alle autorità giudiziarie per accertare la colpevolezza. Gli standard
sono diversi così come gli obblighi. D’altra parte, il giornalista non deve
certo provare le accuse ma solo fornire un fondamento ragionevole alla base
delle critiche espresse sulla stampa. E questo anche con toni provocatori. Sono
note le vicende di noti giornalisti assolti alla fine in ultima istanza avanti
alla CEDU, che ha condannato lo Stato italiano a risarcire i danni morali.
La Corte di cassazione ha
recentemente fissato, conformemente a tale indirizzo della Corte europea, importanti
principi in tema di libertà di stampa e di diritto di critica nei
confronti di uomini politici ed ha quindi assolto con formula piena dall’accusa
di diffamazione “perché il fatto non costituisce reato”.
Avv. Giovanni Bonomo –
Diritto 24
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