Questa è la circular email che è arrivata da Tiscali a fine marzo di quest’anno.
Così ho fatto il back-up dei miei scritti, che hanno segnato, con Tiscali Blog, gli
albori del mio essere (anche) blogger. Ricomincerò a ritroso dal primo scritto per
risalire all’attuale presente.
Il mio primo
scritto risale al 27 luglio 2003. Ne ripropongo di seguito il testo.
Dell’armonia
universale e dell’universale giuridico
L’obiettivo
dell’alchimista è di essere “uno” con l’Universo; egli considera che tutto è
nato dall’Uno e che quest’Uno si è frazionato: ed è nata la nostra realtà. Se
questa realtà risulta dal frazionamento dell’Uno, è dunque possibile ritornare
all’Unità partendo da ogni cosa, così come ogni foglia di un albero ci riconduce
al tronco. L’alchimia è un mezzo con cui l’uomo può ritrovare il proprio posto
e riallacciare il dialogo con la natura, con se stesso e con gli altri. La
tendenza verso l’equilibrio, l’unità, in sintonia con l’energia dell’Universo,
permette di trasformare la materia del nostro corpo in luce: ci permette di
metterci in risonanza con l’Universo così che la nostra pietra filosofale
interna possa esprimersi. L’intuizione alchemica di base risiede in una
prospettiva cosmologica globale che correla i metalli al cielo e ai pianeti;
pertanto ogni trasformazione, al di là delle apparenze, non è di natura caotica
e casuale perché favorita dagli influssi intelligenti (energheja) del cielo sulla
terra. Pertanto nella tradizione dell’alchimia metallifera piombo, ferro,
stagno, rame, mercurio, sono soggetti alla corruzione, mentre due (argento,
oro) sono incorruttibili, non soggetti al decadimento fisico prodotto dal tempo.
Ma le radici concettuali dell’ALCHIMIA affondano nell’antichissima cultura
cinese, secondo la quale la vita si basa sull’alternanza di due princìpi
opposti ma complementari: lo YANG, che rappresenta il principio “Cielo – Sole –
Maschio” e lo YIN che rappresenta il principio “Terra – Luna -Femmina”. Essi
realizzano un’inversione di proprietà attive e passive che viene generalmente
simbolizzata da un cerchio in cui una doppia spirale a rotazione inversa genera
un polo bianco in un semi-campo nero e viceversa un polo nero nell’altro
semi-campo bianco. In questo disegno è anche la rappresentazione del divenire
cosmico, del ciclo universale, dell’infinito. L’ipotesi del continuo è stato
già un famoso postulato dovuto al grande matematico George Cantor (1845 1918),
con la teoria degli insiemi numerabili e delle corrispondenze biunivoche. Prima
de L’infinito di Giacomo Leopardi (1798 1837) vi furono alcune
riflessioni, non meno poetiche per la loro bellezza logica, sull’infinito
potenziale e sull’infinito attuale, a partire dalla matematica greca, tra le
quali si ricordano: Zenone e il paradosso di Achille e la tartaruga; Eudosso e
il metodo di esaustione per imbrigliare l’infinito; Euclide, l’infinito
potenziale e il teorema dell’infinità dei numeri primi; Archimede e l’uso
dell’infinito attuale. Dopo Cantor si ha la nascita dell’analisi infinitesimale
e del concetto di limite (I. Newton, G. Leibniz e A. Cauchy), e da ultimo delle
curve patologiche e dei frattali (Peano, von Koch, Sierpinski). Diceva davvero
la verità Giordano Bruno, morto sul rogo di Campo dei Fiori a Roma il 17
febbraio 1600. Dopo 400 anni anche la Chiesa se ne ravvede, scusandosi per le
colpe del passato, come sempre fa. Egli fu l’artefice profonde innovazioni
soprattutto in campo scientifico, in quella scienza che allora muoveva i primi
timidi passi per liberarsi da secoli di immobilismo dogmatico. Nato nel 1548 a
Nola, Giordano Bruno entrò presto nell’ordine domenicano dove rimase però solo
dieci anni, insofferente alle rigidità ecclesiastiche. Insegnò filosofia ed
astronomia a Parigi, Ginevra e Londra, dove incontrò sempre una forte
opposizione alle sue teorie. Nel 1591 tornò in Italia, a Venezia dal nobile
Giovanni Mocenigo: fu proprio quest’ultimo a denunciarlo, l’anno seguente,
all’Inquisizione. Nella città lagunare Giordano Bruno riuscì a contrastare gli
Inquisitori, ma trasferitosi a Roma, dopo un secondo processo durato ben sette
anni, trovò il suo triste destino. Il più grande merito del filosofo campano è
di aver proposto in sostituzione dell’antico modello cosmologico aristotelico
un universo infinito dove finito ed infinito stesso, come tutti gli opposti,
coincidono. È la “coincidentia oppositorum“: la coincidenza tra Finito ed
Infinito, con l’uomo stesso considerato da Giordano Bruno un essere “infinitamente
finito“. La nostra innata tensione nei confronti dell’Universo (infinito) non
avrebbe un carattere religioso, bensì metafisico, poiché è naturale il
desiderio dell’uomo (che è certo essere finito ma ha in sé una parte infinita)
di ricongiungersi con l’Infinito Globale, rappresentato dalla Natura.
Così Dio, che si identifica nella Natura stessa, si manifesta nell’uomo, e
quest’ultimo, finito, trova parte integrante nell’Infinito: ecco la coincidenza
degli opposti. Nella Cena delle ceneri il filosofo riduce il modello
cosmologico aristotelico fino ad allora in auge ad una semplice ipotesi, e come
tale dello stesso valore di altre proposte: nemmeno Niccolò Copernico nel
suo De revolutionibus orbium
celestium aveva osato tanto, limitandosi a proporre la sua concezione
eliocentrica come semplice ipotesi matematica. Giordano Bruno si batté contro
la teoria aristotelica del “Motore Immobile che tutto muove“, proponendo una
visione dell’Universo dove ogni corpo celeste si muove di una forza propria,
che lo spinge verso un suo simile: è l’embrione della teoria meccanicistica
dell’Universo che diverrà fondamento della moderna scienza astronomica, esposta
nell’opera forse più nota del filosofo, De l’Infinito, Universo e Mondi (vedi
all’indirizzo http://digilander.libero.it/bepi/infinito/index.htm).
Di qui egli passa alla formulazione dell’infinità stessa dell’Universo e dei
mondi che lo abitano, teoria del tutto nuova e profondamente rivoluzionaria.
Trent’anni prima di Galileo il filosofo Bruno andava oltre le prossime scoperte
astronomiche dello scienziato, intuendo l’esistenza di innumerevoli sistemi
solari, nessuno dei quali centrale (superando non solo il modello geocentrico
di Tolomeo ma anche quello eliocentrico di Copernico) e credendo ad un
panteismo (“tutte le cose sono divine“) che le moderne scoperte della fisica
quantistica sono costrette ora a teorizzare (il c.d. campo unificato,
l’entità basilare dell’Universo, che dà origine ad ogni manifestazione in
natura). Oggi potenti radiotelescopi scandagliano il cielo alla ricerca dei
segnali di civiltà extraterrestri: quattro secoli fa pensare che l’uomo non
fosse l’unico abitante del cosmo non dovette essere in effetti impresa facile.
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Di questa tendenza
all’UNITà è anche espressione il
diritto. Le varie regole giuridiche rinvenibili presso i popoli, in dipendenza
delle loro condizioni di vita, politiche, culturali, religiose, del territorio,
del clima e dell’epoca storica vissuta, appartengono sempre alla stessa
categoria logica: la nozione di giuridicità e l’idea di giustizia alla quale la
prima è improntata. Tale nozione trascende il diritto positivo, le disposizioni
di legge e i precetti, anche di costume e consuetudinarie, di un qualsiasi
organismo sociale, in quanto è un principio necessario, una forma logica insita
nel nostro intelletto umano. Non mi risulta possibile negare la necessità del
concetto di diritto naturale quale parametro di riferimento degli ordinamenti
giudici validi e giusti in relazione alla nostra esperienza morale: è esigenza
fondamentale della coscienza umana concepire l’idea di giustizia come
assoluta. Senza norme immutabili, che derivano dalla morale della convivenza umana,
il sistema giuridico diventerebbe arbitrio della volontà di un qualsiasi
legislatore, e non espressione di giustizia, come avvertiva Cicerone (106 a. C.
– 43 a.C., http://www.filosofico.net/ciceroleggi1.htm)
nel De legibus. Emerge la
necessità di recuperare, anche nel nostro tempo, ed anzi oggi più che mai per
le pericolose manifestazioni di relativismo etico, il valore e il significato
dell’UNIVERSALE GIURIDICO, che è stato e sarà sempre alla base dell’umana
convivenza e fondamento della democrazia. L’universale giuridico non vive in un
mondo immutabile, come credevano gli antichi giusnaturalisti, e nemmeno nella
sfera delle idee platoniche o dei numeni kantiani: è creato dal
pensiero e dalla mente umana che nulla presuppone prima di sé o al di sopra di
sé, e solo in questo senso può considerarsi come valore immanente, che non si
esaurisce in alcun momento della sua attuazione concreta. La ricerca dell’Uno,
dell’Assoluto, dell’Eterno è oggetto non solo della filosofia in genere, ma
anche, in particolare, della filosofia del diritto, che cerca di definire
l’universale giuridico, di cogliere l’essenza della giuridicità al di là dei
vari sistemi giuridici e dei momenti storici. Secondo G. Del Vecchio (http://fildirg100.giu.uniroma1.it/RIFD.htm),
la giuridicità consiste in quella determinazione bilaterale per la quale
alla facoltà di un soggetto corrisponde l’obbligazione di un altro: risulta
quindi essere una categoria logica che ha il carattere dell’universalità, che
comprende l’esperienza giuridica contingente ma non si esaurisce in essa,
contenendo potenzialmente il diritto di qualsiasi tempo e di qualsiasi luogo.
De Ruggiero dà una definizione del diritto come norma delle azioni umane nella
vita sociale, stabilita da un’organizzazione sovrana ed imposta coattivamente
all’osservanza di tutti (G. De Ruggiero – F. Canfora, Breve storia della
filosofia, 1967, Laterza ed.). Ma una tale definizione non sarebbe possibile se
in noi non esistesse, prima dell’esperienza sensibile, una nozione universale
del diritto che ci renda conoscibile il diritto fenomenico, se non esistesse
cioè nella nostra mente un dato di riferimento assoluto, vale a dire quella
categoria logica sopra richiamata. L’universale giuridico è il comune
genere delle due specie: diritto naturale e diritto positivo; è una forza
universale di cui il diritto naturale e quello positivo sono manifestazione. A
riprova basti pensare che i diversi sistemi giuridici cadono, ma l’idea di giustizia
che anima gli uomini e le rivoluzioni sopravvive. Il processo di sostituzione
del diritto naturale, che avverrà gradualmente tramite evoluzione o celermente
tramite rivoluzione, al diritto positivo risponde a un’esigenza naturale che si
regge sull’unità dello spirito umano. Quando, secondo le parole di G.B.Vico (http://it.wikipedia.org/wiki/Giambattista_Vico), i
semi eterni del giusto, sepolti nel genere umano, avranno germogliato e
completato il loro frutto, allora la persona umana a avrà conseguito il più
elevato e pieno riconoscimento. Non sarà più un’utopia pensare ad una societas
umani generis basata su un coordinamento giuridico, grazie anche a
Internet e all’evoluzione della c.d. società dell’informazione, di regole
giuridiche valide per tutta l’umanità.
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