Nessuno
è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo
J.
W. Goethe |
Il pensiero
unico dell'attuale società neoliberistica afferma, proprio come Pangloss nel
noto romanzo umoristico di Voltaire, che il mondo in cui viviamo è l'unico
mondo possibile. Un mondo in cui, grazie alla libera concorrenza, si
otterrebbero più efficienza e redditività. Fino al punto in cui il valore
economico diviene l'unica discriminante tra ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato. Il neoliberismo impone che il mercato debba regolarsi senza
l'intervento pubblico, seguendo la legge della domanda e dell'offerta: ciò
che non ha senso economicamente va eliminato.
L'attuale progressiva riduzione
delle sovranità statali e nazionali a cui stiamo assistendo, con la conseguente
perdita di controllo dei sistemi finanziari e produttivi, sono una conseguenza
della idelogia neoliberista dello "Stato minimo", del laissez-faire. Una concezione che nulla
ha a che vedere con lo Stato minimo teorizzato nell'Ottocento da Immanuel Kant
e da John Stuart Mill, che intendevano uno Stato non più dispotico e tiranno bensì democratico, sociale, partecipato. Certamente non uno Stato indebolito e ridotto
ai minimi termini dall'ideologia del profitto e dalla privatizzazione dei
servizi essenziali.
Non mi
stanco mai di sostenere, perché l'ho detto e scritto più volte a proposito di
Intelligenza Collettiva, che oggi può essere possibile, tramite Internet e uno
sforzo di consapevolezza da parte di tutti, conquistare nuovi spazi di democrazia
partecipativa, diretta e trasparente, che può sostituire i partiti
tradizionali. Si potrebbe creare una rivoluzione nel modo di pensare la
politica, una “rivolta sociale” volta alla presa... delle decisioni collettive
per una società trasparente. Se i vari social
networks fossero usati in modo costruttivo, anziché come giostre per pensieri deboli, l'informazione di regime, che ci nasconde la
verità sulle decisioni politiche, non riuscirebbe più a condizionarci, smetteremmo
di essere indifferenti alla cosa pubblica o rassegnati (e mi viene da dire
anche inadempienti al dettato costituzionale dell'art. 4 comma 2: "ogni cittadino ha il dovere di svolgere,
secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione
che concorra al progresso materiale o spirituale della società").
Del resto la
possibilità di partecipare, sia in via diretta che mediata, alla formazione
delle decisioni collettive, e di realizzare l'esercizio della sovranità popolare
per creare uno Stato sociale, viene sancito nella nostra Costituzione, che oltre al modo di partecipare alla politica nazionale in modo indiretto, tramite le associazioni partitiche (art. 49) e le petizioni alla Camere (art. 50), prevede, all'art. 71 comma 2, la proposta
da parte di almeno 50.000 elettori di progetti di legge di iniziativa
popolare.
Il neoliberismo ha invece
costretto le menti a concentrarsi sul profitto, sull'economia di mercato più che
sulla politica, sulla libertà di
iniziativa economica più che sui servizi pubblici, sull'individualismo scaltro
più che sulla solidarietà sociale.
E' intuitivo, come ci disse in
musica Giorgio Gaber, che la vera libertà è quella positiva, di partecipazione,
"libertà di...", non quella negativa, "libertà da...", che
ci viene inculcata dall'ideologia del profitto ad ogni costo. E' anche vero,
come ci ricorda Norberto Bobbio nel noto saggio “Liberalismo
e Democrazia”, che "tra le
richieste dei liberali, di uno Stato che governi meno possibile e quelle dei
“democratici” di uno Stato in cui il governo sia il più possibile nelle mani
dei cittadini si rispecchia il contrasto fra due modi di intendere la libertà,
che si è soliti chiamare libertà negativa e libertà positiva, e tra i quali si
danno, secondo le concezioni storiche ma soprattutto secondo il posto che si
occupa nella società, giudizi di valori opposti: solitamente coloro che stanno
in alto preferiscono la prima, quelli che stanno in basso la seconda.".
Ma qui sta il discrimine tra
neoliberismo, globalizzante e totalizzante, a vantaggio di pochi, e vero liberalismo, reale e socialmente
sostenibile, a vantaggio di tutti. Candìde sostiene che un
liberalismo reale e democratico è ancora possibile, purché si basi su un “nuovo
umanesimo”, su un cambiamento radicale del modo di pensare anche la politica, incentrata sull'uomo anzichè sul profitto, sulla conoscenza anzichè sull'ideologia.
Abbiamo ancora la possibilità
di vincere la nostra assuefazione all'idea che l'attuale globalizzazione è
inevitabile, se solo pensassimo e riflettessimo criticamente
sul fatto che il mondo non è costituito solo da ciò che è, ma da quello che
potrebbe esistere e che sarebbe realizzabile con la buona volontà di tutti. Lo
scetticismo di Candìde alle idee "politicamente corrette" del suo
precettore Pangloss, con il suo superficiale e acritico ottimismo, è il primo
germe di una riflessione critica che tutti possiamo iniziare.
Mi impegnai ad affrontare la questione, che interessa l'intera economia mondiale, in una videointervista a Paolo Gila che trovate su
Canale Europa TV, a proposito del libro del noto giornalista
economico-finanziario RAI che già presentai presso il mio salotto: Paolo Gila, dopo l'opera I
Signori del Rating, ci ha spiegato, con il suo libro
successivo, Capitalesimo.
Il ritorno del Feudalesimo nell'economia mondiale perché il capitalismo
sta diventando un nuovo feudalesimo e chi domina veramente lo scenario
economico e politico mondiale.
E' un libro che ci illumina sul
fatto che ci troviamo inconsapevolmente costretti in un pensiero unico che ha
minato fin dalle fondamenta il pensiero occidentale. Ciò che è accaduto in
questi ultimi anni – a partire dalla fatidica diffusione dei mutui subprime –
ha disvelato un'incongruità culturale fra il percorso etico, che dovrebbe
segnare il cammino in ogni ambito, e quello del malaffare, speculativo e inumano.
Lasciatemi ancora riportare,
con mie sottolineature, le significative parole che si leggono in quarta di
copertina:
"Il capitalismo è come un aereo entrato in un vuoto d’aria. Le sue ali
hanno perso portanza e non si trova un sistema per tenere in volo
l’apparecchio. In quindici anni, con il il tracollo delle borse asiatiche del
1998, lo scoppio della bolla della new economy del 2001 e la crisi dei mutui
sub-prime del 2008, sembra proprio che il sistema economico globale sia stato
messo in ginocchio.
Ma quello che è successo è forse ancora più grave: il capitalismo non è
finito, si sta trasformando in qualcosa di diverso, che ricorda da vicino
l’avvento del Feudalesimo dopo il collasso del mondo antico. Il
capitalismo sta diventando «Capitalesimo», un sistema capillare e inesorabile
di controllo assoluto su un territorio frammentato, una sorta di Sacro
Romano Impero della finanza, coi suoi feudatari sempre più potenti,
i suoi marchesi, i suoi baroni, i vassalli, i valvassori e la sua plebe
sterminata, sempre più povera.
La reale ricchezza prodotta da tutte
le nazioni e pari a circa 70000 miliardi di dollari, ma l’ingegneria
finanziaria ha creato ad arte un valore virtuale di scambi che vale trenta
volte tanto. Siamo immersi in un’immensa contraffazione, ormai strutturale,
che è la vera causa del vuoto d’aria dell’aereo del capitalismo, ma che viene
difesa e gestita con pugno di ferro dai nuovi Signori della Terra, coloro che
hanno i mezzi e le conoscenze per sfruttarla a proprio vantaggio."
Ma
la situazione di schiavitù finanziaria in cui tutti (tranne i pochissimi
potenti feudatari della finanza) viviamo, è descritta con parole che non fanno
meno male dal giurista Paolo Maddalena,
nel suo recente libro “Il
territorio bene comune degli Italiani”, di cui riporto questo
significativo estratto (anche qui con sottolineature mie):
"Non siamo
affatto in presenza di una ordinaria e ricorrente “crisi economica”, ma di una
“crisi di sistema” provocata da un atteggiamento della finanza internazionale
fortemente speculativo, che impedisce di fatto una reale ripresa dell'economia.
D'altro canto, la forza dei mercati finanziari, strenuamente sostenuta dal
Fondo monetario internazionale, nonché dalla Commissione europea e dalla BCE, è
tale da impedire, si ripete “impedire”, che i paesi in difficoltà si
risollevino economicamente, poiché a ogni minimo cenno di debolezza, questi
paesi sono assaliti, non solo dalle agenzie di rating, che immediatamente li
declassano, ma anche e soprattutto dalle reazioni degli stessi mercati, i
quali, ritenendo meno appetibili i titoli del debito pubblico, pretendono un
aumento dei tassi di interesse da pagare, giustificandolo con la minore
affidabilità di questi stessi paesi, con il conseguente maggior rischio degli
investitori. De deriva che un paese che ha bisogno di essere aiutato, si vede
invece costretto a maggiori sforzi economici e, quindi, a sicura maggiore recessione,
fino al totale default. Si può dunque affermare che i tassi del debito pubblico
hanno perso qualsiasi elemento di stabilità, e che la loro sorte è decisa
arbitrariamente da un ristretto gruppo di speculatori (una quindicina), che
diramano ai loro “dipendenti” (che superano le 600.000 persone) le linee da
seguire. Una trappola mortale che ha come fine ben esplicito, non quello di aiutare
detti paesi a risollevarsi, diminuendo il debito pubblico, ma, al contrario, quello
di costringerli a ulteriori misure di austerity, e quindi a ulteriore recessione
e all'impossibilità assoluta di ridurre il debito, considerato che il debito
può ridursi con lo sviluppo e non con la recessione. Dunque, l'obiettivo pratico
e ignobile che la speculazione finanziaria si prefigge di raggiungere non è
affatto la riduzione del debito pubblico, ma il suo aumento, con
l'inevitabile conseguenza che i paesi in difficoltà dovranno, come del resto
sta già avvenendo, svendere al miglior offerente (sia esso arabo,cinese,
russo, o della mafia di qualsiasi località) il proprio territorio. Si
creeranno così Stati senza territori, e cioè Stati che non saranno più Stati,
ma semplicemente popoli e individui senza patria ridotti allo stato di
schiavitù, le cui sorti saranno sempre più nelle mani dei cosiddetti
“speculatori-creditori”. Ed è doveroso rimettere in evidenza che la “trappola”,
costruita dagli speculatori finanziari, trova il suo ferreo strumento di trasmissione
nelle prescrizioni europee e del Fondo monetario internazionale, evidentemente
ispirate anch'esse da speculatori finanziari senza scrupoli, che ci stanno
portando a morte sicura. Nessuno può negare infatti, che in questa situazione,
invocare l'austerity, aumentare il peso delle imposte e delle tassazioni in
genere, producendo ulteriore, sicura, recessione significa rendere
matematicamente impossibile la riduzione del debito pubblico, e ci costringe a
pagare,i nostri (presunti) debiti svendendo il nostro territorio, perdendo
l'indipendenza nazionale, e diventando schiavi del potere finanziario."
L'autore prosegue spiegando come le misure di austerity finora adottate hanno portato solo a elevatissime
e insostenibili tassazioni, a cui ha già fatto seguito una recessione economica
spaventosa, che ha prodotto una rilevantissima e crescente disoccupazione,
mentre il debito pubblico, anziché diminuire, è salito in modo impressionante,
portando i paesi debitori a debiti sempre maggiori, con la conclusione della
svendita del loro territorio e della totale miseria.
E' ancora possibile, in
questa drammatica situazione, riprendere il discorso su un liberalismo
autentico che nasca dalla democrazia? Candìde ha sempre sostenuto che ogni
potere separato priverebbe della sovranità i cittadini, li renderebbe mezzi
nelle mani dei pochi privilegiati e a disposizione per il loro fini. Ogni
potere separato è potere sottratto. La democrazia, base di un vero liberalismo, si presenta perciò anche come moralità, come realizzazione
istituzionale dell’imperativo kantiano che impone a tutti: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia
nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai
semplicemente come mezzo”.
L’ideologia neoliberista ha anestetizzato
una generazione, ma ora i cervelli svegli hanno ripreso a porsi delle domande. E
al solito privilegiato politico che ci dice che la democrazia presa alla
lettera è impossibile perché impraticabile, rispondiamo con un’altra domanda: è
possibile non prenderla alla lettera? La democrazia è nata più volte, diversa ogni
volta perché ogni volta ha alimentato nuove speranze. Winston Churcill, mastino
conservatore, la voleva minimalista: la peggior forma di governo a eccezione di
tutte le altre. Così come il nostro ex presidente Pertini: “meglio la peggiore delle democrazie alla
migliore delle dittature”. Ma Albert Camus, nel 1944, in un articolo sulla
rivista clandestina “Combat”, la definiva “uno
stato della società dove ciascun individuo possieda in partenza ogni chance, e
dove la maggioranza del Paese non sia tenuta in una condizione indegna da una
minoranza di privilegiati”. Eguali chance di partenza, va sottolineato.
L'autentico liberalismo procede insieme alla democrazia. E perfettamente liberista è l’art. 3 della nostra Costituzione, che al
secondo capoverso – giova ricordarlo – recita: “è compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando
di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Che proprio
tale articolo suoni affetto da socialismo al delicato udito di qualche "liberale",
ci dice solo come il privilegio e il potere di casta siano pronti a spingersi
fino all’odio per la logica.
avv. Giovanni Bonomo
Centro Culturale Candide
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